Apolide – Processo Continuo

Non è solo un Festival di musica.

E così, anche questo Apolide 2024 se ne va, e già ci manca.

Per chi non conoscesse l’Apolide Festival, un piccolo consiglio: uscite più spesso dalle vostre caverne.

Iniziato ormai 20 anni fa – testimoniato da una mostra fotografica di questi due decenni, esposta in questa edizione presso Spritz, quelli delle magliette – ad Alpette, da cui il nome originale, il festival ha vissuto una continua e costante evoluzione, spesso nemmeno voluta.

Eh già, chi mastica di festival sa benissimo cosa vuol dire mostrare continuità in un festival musicale nel nostro paese. Lo sa il Balla coi Cinghiali, lo sa anche Apolide, ma cercherò di non divagare e frenare la vena polemica.

Parlavamo di evoluzione, ed è proprio questo che Apolide incarna, anche nel nome di quest’anno: Processo Continuo. Un non fermarsi mai, un cambiarsi e migliorarsi ogni volta che la vita, il mondo o la politica (niente, non riesco a non polemizzare) offrono l’occasione.

Non solo musica.

Lo dico nei panni di chi Apolide lo vive e fotografa da qualche anno, forse in maniera un po’ forte. Ad Apolide la musica è il collante universale di un mondo molto più ampio. È un mondo fatto di confini allargati, di persone nuove e vecchie amicizie, di vicini di tenda – un tempo – e di vicini di transenna, di esperienze sportive, di momenti di relax, di piccoli commercianti locali, di famiglie e bambini, ma soprattutto di spazi che da privati e/o inaccessibili diventano comuni, inclusivi, per tutti.

Quest’anno Apolide ha restituito la città a una fetta di giovani a cui gli spazi mancavano. Nonostante la pioggia – sfiga nera – che ha duramente colpito il primo giorno, la città ha visto alcuni dei suoi spazi ripensati e riadattati nell’ottica di un evento che emana tepore e magia.

I Giardini Giusiana – i Giardinetti, che poi tutti mi guardate strano e non sapete dove sono – trasformati in un improvvisato tendone da circo en plein air, che ha ospitato talk e spettacoli dal vivo. Lo Zac e il Movicentro, già per loro natura vivi e vegeti, che hanno fatto ballare in una giornata cupa e plumbea e, ovviamente, un Parco Dora quasi irriconoscibile e perfettamente sistemato per ospitare gli stage, le bancarelle, lo street food, le aree relax.
Ora che ci penso, non immaginavo nemmeno che quel posto potesse diventare così bello.

Occasioni, occasioni e ancora occasioni. Cogliere o pentirsi.

Manco a dirlo, arriva il momento in cui si DEVONO per forza di cose collocare i mostri sacri nel discorso.
Ivrea dell’Olivetti.
Ivrea del Carnevale.
Ivrea del patrimonio UNESCO.

Possiamo anche pensare a un’Ivrea di Apolide?

Per favore, fate questa domanda ai vostri figli, ai vostri amici, ai vostri genitori. Io sono pronto a scommettere che la maggior parte risponderà un musicale “SÌ!”. Perché per quanto il periodo, la vita, il mondo siano diventati complessi e difficili, di spazi di leggerezza, cultura e musica c’è un gran bisogno. Di spazi in cui stare assieme, in cui parlare senza giudizi, ma anche in cui semplicemente sdraiarsi a terra coi propri affetti – e perché no, una birretta – e godersi il momento.

E per i più cinici: un festival musicale è fonte di introiti per tutti. Per i commercianti dentro e fuori al festival, per le attività di ristorazione, per la città tutta. Dove arriva il turista – e Apolide ne ha attratti parecchi – c’è ricchezza per il residente, è ora di capirlo.

Rimane, purtroppo, sempre uno zoccolo duro di scontenti.

Quelli del volume alto, del casino in strada, dei troppi turisti, dei “ma questi giovani pensano solo a divertirsi?”. A voi, purtroppo, non so se vi accontenteremo mai.

Ma nello spirito di Apolide vi dico: venite a trovarci.

Fatevi un giro, la vostra prima birra la offro io. In cambio, una foto, due parole e qualche opinione. Perché sono sicuro che cambierete idea una volta dentro.
Dulcis in fundo, una riflessione.
Collisioni, nelle Langhe, non è forse iniziato così?

Disclaimer: questo articolo non l’ha scritto un’IA. Ve ne rendete conto perché dentro c’è tutta la mia lingua velenosetta, la mia costruzione delle frasi labirintica e tanta, tanta voglia di far passare un messaggio. Se vi è piaciuto, non vi chiedo di condividerlo, ma piuttosto di parlare, parlare e parlare in Ivrea e fuori Ivrea di cosa c’è e di come usarlo al meglio, di cosa manca e andrebbe creato, degli spazi che ci abbiamo e di come renderli migliori. Non sarà un pezzo del genere a cambiare alcunchè, ma insieme abbiamo una possibilità.
Usiamola.

Foto di Alessandro Aimonetto

And so, another Apolide festival comes to an end, and we already miss it.

For those who don’t know the Apolide Festival, a little piece of advice: get out of your caves more often.

Starting 20 years ago – as witnessed by a photographic exhibition of these two decades, on display this edition at Spritz, those of the t-shirts – in Alpette, hence the original name, the festival has undergone a continuous and constant evolution, often not even wanted.

Well, those who know about festivals know very well what it means to show continuity in a music festival in our country. Balla coi Cinghiali knows it, and Apolide knows it too, but I will try not to digress and curb the polemical vein.

We were talking about evolution, and that’s precisely what Apolide embodies, even in this year’s name: Processo Continuo (Continuous Process). A never-ending stop, a changing and improving every time that life, the world or politics (nothing, I can’t help but be polemical) offer the opportunity.

Not just music.

I say this as someone who has been living and photographing Apolide for a few years, perhaps a bit strongly. At Apolide, music is the universal glue of a much wider world. It’s a world of open borders, new people and old friendships, tent neighbors – once – and barrier neighbors, sports experiences, moments of relaxation, small local shopkeepers, families and children, but above all spaces that from private and/or inaccessible become common, inclusive, for everyone.

This year Apolide has given the city back to a slice of young people who lacked spaces. Despite the rain – bad luck – that hit hard on the first day, the city has seen some of its spaces rethought and adapted in the spirit of an event that exudes warmth and magic.

The Giardini Giusiana – the Giardinetti, which then everyone looks at me strangely and doesn’t know where they are – transformed into an impromptu open-air circus tent, which hosted talks and live shows. The Zac and the Movicentro, already lively and kicking by their very nature, which made people dance on a gloomy and gray day and, obviously, a Parco Dora almost unrecognizable and perfectly set up to accommodate the stages, the stalls, the street food, the relaxation areas.

Now that I think about it, I never imagined that place could become so beautiful.

Opportunities, opportunities and more opportunities.

To seize or to regret.

Needless to say, the time comes when the sacred monsters MUST be placed in the discourse.

Ivrea of Olivetti. Ivrea of Carnival. Ivrea of UNESCO heritage.

Can we also think of an Ivrea of Apolide?

Please, ask this question to your children, your friends, your parents. I am ready to bet that most will answer a musical “YES!”. Because as much as times, life, the world have become complex and difficult, there is a great need for spaces of lightness, culture and music. Spaces to be together, to talk without judgment, but also to simply lie down on the ground with your loved ones – and why not, a beer – and enjoy the moment.

And for the most cynical: a music festival is a source of income for everyone. For the shops inside and outside the festival, for the catering activities, for the whole city. Where the tourist arrives – and Apolide has attracted many – there is wealth for the resident, it’s time to understand it.

Unfortunately, there is always a hard core of discontents.

Those of the loud volume, of the noise in the street, of the too many tourists, of the “but these young people only think about having fun?”. To you, unfortunately, I don’t know if we will ever satisfy you.

But in the spirit of Apolide I tell you: come and find us.

Take a walk, I’ll offer you your first beer. In exchange, a photo, a few words and some opinions. Because I’m sure you’ll change your mind once you’re inside.

Dulcis in fundo, a reflection.

Collisioni, in the Langhe, didn’t it start like this?

Disclaimer: this article was not written by an AI. You can tell because it has all my venomous language, my labyrinthine sentence construction and so much, so much desire to get a message across. If you liked it, I don’t ask you to share it, but rather to talk, talk and talk in Ivrea and outside Ivrea about what there is and how to use it at best, what is missing and should be created, the spaces we have and how to make them better. It won’t be a piece like this that will change


CREDITS
Foto di Alessandro Aimonetto e Antonio Pio Roseti
Articolo di Alessandro Aimonetto